L’altra sera a cena si parlava del difficile momento storico: mancanza di etica e profondo disinteresse per la cosa pubblica, il gossip che irrompe e diventa il motivo trainante delle azioni di governo. Inaccettabile. La conclusione: bisogna indignarsi.
Bene e poi? E’ sufficiente l’indignazione? Come si trasforma l’indignazione in azione vera e propria?
Ecco una piccola storia che si aggiunge alle migliaia già sentite e lette.
Una mia amica, la chiamo Anna, è insegnante precaria d’italiano nella scuola. Abilitata, da parecchi anni nelle graduatorie, ma troppo in basso per essere chiamata alle supplenze statali. Viene assunta a T.I. in una scuola privata, un istituto superiore, per poche ore la settimana: GRATIS, ovvio, senza retribuzione, ma con la garanzia di potere aggiornare la graduatoria a fine anno con gli agognati 12 punti del servizio prestato.
All’inizio di quest’anno, dopo ben 7 anni di lavoro in quella scuola, ad Anna viene improvvisamente richiesto un impegno orario di 15 ore settimanali a fronte di ZERO retribuzione, l’orario le viene spalmato sull’intero arco della settimana con tanti buchi… Anna non capisce. L’atteggiamento mutato nei suoi confronti, chiaramente manovre per metterla in difficoltà: “agli altri viene concesso di uscire con un quarto d’ora d’anticipo, io e la mia classe non possiamo, per farmi consegnare i registri ho dovuto alzare la voce”, insomma un insieme di azioni che non vogliamo ancora chiamare mobbing, ma vessazioni si.
E comincia il giro di avvocati e sindacalisti. E improvvisamente la luce: la scuola che l’ha assunta non gode più dopo 7 anni degli sgravi fiscali, quindi è importante liberarsi della zavorra e quale miglior metodo che farle delle proposte inaccettabili: la ragazza si dimetterà! Ma per fortuna Anna ha una fibra, un coraggio e una testardaggine che invece le permettono di non mollare e di impegnarsi fino in fondo per capire fino a che punto sono disposti ad arrivare per liberarsi di lei. Intanto ha scoperto che ad una collega in maternità la scuola non aveva pagato i contributi previdenziali e ha anche scoperto che ai professionisti che lavorano in quella scuola (medici e avvocati) lo stipendio viene corrisposto in toto.
Cos’altro aggiungere? Ah si: l’etica del lavoro, l’entusiasmo per il proprio mestiere, la professionalità. Ma in un contesto del genere come si può anche solo pretendere che le persone lavorino con motivazione, e quali valori si riesce a trasmettere agli alunni? E che dire del fatto che licenziata Anna c’è una sfilza di Marie, Caterine, Angeliche, pronte a lavorare gratis pur di ottenere il famigerato punteggio.
A questo punto l’indignazione ha raggiunto il suo apice di fronte alla dignità calpestata di un lavoratore, per di più educatore. Indignazione e dignità hanno la stessa radice etimologica che riporta a termini come decenza e decoro. Ma le parole non bastano più.
Da dove cominciare? Farsi forza e non accettare più di lavorare in nero, per non svilire una professione costantemente minacciata dalle “riforme” del ministero? Che la ribellione parta dal basso. Anna non mollare!
mamma mia, poveretta! però non mi stupisce dato lo schifo in cui viviamo...
ReplyDeletelo sai che è proprio un bel blog questo? non lo avevo visto, conoscevo shrinkingpat, ma questo no.
da oggi hai una lettrice in più!! :))
grazie mille cara, un piccolo complimento è un grande segnale per la mia autostima in grave deficit
ReplyDelete